La Brexit è ormai diventata un signifiant-maître (come diremmo con un’espressione a crocevia tra lo strutturalismo e la psicoanalisi) del discorso sociale europeo. Attraverso questa espressione – significante maestro – si designa un elemento linguistico che assume un ruolo peculiare nell’organizzazione del discorso e dei suoi effetti. Altresì, attraverso l’uso del significante, un soggetto può rappresentare se stesso presso l’Altro (ad es. uso il significante italiano per spiegare a qualcuno qualcosa di chi sono). La peculiarità di questa struttura linguistica è quella di poter avere diversi significati, ad esempio se dico che ho visto un albero (significante) posso riferirmi al fatto che ho visto un pino (significato 1) o un platano (significato 2). È proprio attraverso queste categorie (il significante e la sua polisemanticità), brevemente introdotte, che potremmo inquadrare la questione della Brexit e i suoi effetti nella soggettività individuale.

Dall’esito del referendum del 23 giugno 2016 la Brexit assume una consistenza nella coscienza collettiva che forse prima non aveva. Il non essere stata una questione del campo sociale sufficientemente investita da parte dell’interesse collettivo ha evidentemente inciso nell’esito della consultazione che, nel tempo immediatamente successivo al referendum, ha portato a una forte risignificazione sociale della questione.
Il simbolo forse più evidente di questa inversione di rotta è stato che la petizione per indire un secondo referendum, preparata in anticipo da un “Brexiter” in caso di sconfitta, sia poi stata sottoscritta da milioni di firme nel giro di pochi giorni proprio per farne l’uso opposto: appurato il risultato inatteso, quella petizione è stata sottoscritta dai “remain” con la speranza di una seconda – più ponderata – chance.
Se da un lato indire una seconda consultazione avrebbe creato un precedente rispetto alla possibilità di tornare al voto ogni qualvolta non si sia soddisfatti dell’esito, dall’altro ci sono forse votazioni e votazioni, poche delle quali hanno l’impatto storico-politico-sociale-economico di quest’ultima. Il fatto che si sia mentalizzato in larga misura solo a posteriori – in una sorta di risveglio di massa – che cosa implichi la Brexit, non è stato un motivo sufficiente per riportare la classe politica sui propri passi nei confronti di una seconda opportunità di espressione popolare. Ci potremmo dunque chiedere dove ci sia stata più coscienza e intenzionalità del voto, se nel tempo del referendum o in quello che vi ha fatto seguito.

Questo movimento a due tempi non è estraneo a un processo che si incontra continuamente in un percorso di analisi. In sintesi, si tratta dell’avere a che fare – in un primo tempo – con un puro evento che, in quanto tale, non può già essere del tutto pensabile/mentalizzabile in modo sincrono al suo stesso accadere, né nei suoi immediati effetti.
Vi è poi un secondo tempo – per l’appunto sempre diacronico – in cui il soggetto ritorna attraverso il “senso” a trattare l’evento originario (come diceva Freud, attraverso il ricordare-ripetere-rielaborare), e cerca di produrre una significazione che permetta di collocare quel fatto nell’ordine delle cose. Questo processo di ri-significazione avviene sempre après-coup, in quanto strutturalmente non può avvenire in modo sincrono all’accadere dell’evento in oggetto.
Attraverso questo movimento retroattivo possiamo dunque comprendere come certe questioni acquistino significato solo a posteriori, e sia proprio attraverso questo processo che un individuo possa eventualmente ridefinirsi rispetto a qualcosa che gli è accaduto e agli effetti che da ciò si sono prodotti.
Tramite questa lettura potremmo provare a rileggere tutto il movimento post-referendum come un lavoro di risignificazione di un accaduto, l’evento per cui si è votata l’uscita dall’UE, un momento originario di qualcosa che prima non esisteva come tale, che non si sapeva nel modo in cui si è potuto sapere solo dopo. Nella riflessione post-referendaria il soggetto sociale tenta dunque di riposizionarsi rispetto a questo evento, invocando una seconda possibilità, esattamente la stessa cosa che persegue un soggetto in analisi rispetto a quanto gli è accaduto nella vita.

Questa digressione ci ha permesso di vedere come, a posteriori, la Brexit si sia consolidata come oggetto del campo psichico più di quanto non lo fosse prima, diventando gradualmente un signifiant-maître, ovvero un elemento cardinale nell’organizzazione del discorso sociale.
A partire da questo riscontro, torniamo così alla questione iniziale, ovvero all’analisi delle significazioni del significante-Brexit da parte dei soggetti da esso rappresentati. Il dato empirico da cui si può partire, e che convalida queste assunzioni iniziali, è che il significante-Brexit arriva nella stanza d’analisi attraverso il discorso dei pazienti:
- la paura di essere cacciati
- il sentirsi “lo straniero”
- l’idea che sia il caso di rimpatriare
- il decidere di non comprare più casa per l’incertezza economico-monetaria
- l’urgenza di prendere decisioni personali o lavorative prima dell’uscita dall’UE e così via.
Queste e molte altre sono le questioni che gradualmente prendono posto nel discorso dei pazienti e che rivelano, da una parte, l’incidenza della Brexit nello psichismo degli individui (l’essere diventato un signifiant-maître) e, dall’altra, una serie di significazioni che rappresentano delle tematiche ricorrenti esperite da vari soggetti. Analizzando tali questioni su un campione più ampio, quest’anno l’Aberdeen’s Robert Gordon University ha svolto una ricerca su “The impact of Brexit on the mental health of EU Citizens”:
Dai focus groups condotti è emerso come vi sia una forte percezione d’incertezza sui futuri rapporti tra UK e UE, aspetto che si correla a un’ansia legata a quello che sarà il proprio legal status in qualità di cittadini UE residenti in UK.
Come diretta conseguenza, i partecipanti hanno parlato della difficoltà a prendere decisioni rispetto al prossimo futuro come:
- dove iniziare gli studi o comprare casa;
- il sentirsi più sicuri a iniziare un percorso di vita o lavoro fuori da UK;
- il timore di non essere riammessi in UK.
- Per alcuni partecipanti le preoccupazioni si sono addirittura estese al timore di poter essere separati da partners o famigliari cittadini UE nel caso di un’uscita no-deal.
Questa condizione d’incertezza si traduce nella necessità di individuare organi governativi in grado di fornire delle risposte ufficiali, chiare e rassicuranti, ma questi stessi enti non sono in grado di adempiere a questa funzione in quanto vittime della medesima situazione. Per concludere, possiamo confrontarci con le parole di uno dei partecipanti alla ricerca menzionata, che ben condensano quanto sin qui descritto:
My fiancée is not from Scotland, and we have to postpone some life decisions to see what is going to happen after Brexit, what kind of requirements we will have to meet. What is going to be (…) our legal situation regarding our right to remain or may be if we should… somewhere else to live but we are in this age it influences our feeling of security and not only political security of the country.

Difficile concludere un discorso che, al contrario, dovrebbe essere ulteriormente aperto, con i dovuti spazi di confronto e riflessione. Rispetto a ciò che si è provato ad argomentare fino a questo punto, potremmo dire che – overall – la più rilevante delle significazioni della Brexit consista proprio in un rinforzo dell’identificazione allo straniero. Quello che prima era un mosaico di cittadinanze, ora si polarizza attraverso un rigido confine che distingue l’EU Citizen dal UK Citizen. Tale meccanismo si realizza attraverso l’attivazione di una serie di dispositivi governativi finalizzati ad autorizzare chi può restare e chi no. E così, gradualmente, come hanno riportato alcuni dei partecipanti alla ricercata citata, quello che era inizialmente un vissuto di accoglienza e integrazione, si trasforma lentamente in un sentimento di rifiuto e discriminazione.